Nell’intricato puzzle di territori che il Piemonte rappresenta, il Canavese è il pezzo di cui più facilmente ci si dimentica. Incastrato tra Torino e Biella, capoluogo dell’omonima provincia, il Canavese è una terra storicamente a vocazione agricola con caratteristiche uniche a livello geologico, che ruota attorno (e all’interno) dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea.
Questa formazione, creatasi milioni di anni fa grazie al lento scivolare dei detriti trascinati dal ghiacciaio, si sviluppa dalla valle alpina dove scorre la Dora Baltea, prosegue verso il lago di Viverone e finisce abbracciando la distesa pianeggiante che comprende buona parte dei territori di Caluso, San Giorgio Canavese fino su all’arco alpino.

Arrivando da Caluso, la porta d’ingresso del Canavese, è facile riconoscere il prezioso lascito del ghiacciaio e dei suoi movimenti: colline che si alzano fino a 800 mt. e che garantiscono esposizione e drenaggio ai vigneti, laghi e torrenti che mitigano i rigidi inverni e rinfrescano le calde estati.
Le caratteristiche di questa terra erano note già ai romani, tanto che il vitigno più coltivato in zona, l’ Erbaluce, un’uva a bacca bianca dal caratteristico colore dorato, era da loro chiamato Alba Lux.
Dai tempi dell’impero le condizioni della popolazione sono cambiate: l’inurbamento e l’attrattiva delle grandi città hanno spinto le famiglie locali ad abbandonare i piccoli appezzamenti che possedevano e coltivavano. Solo poche persone negli ultimi anni hanno provato a salvaguardare le espressioni più locali e sconosciute della vite: il Neretto gentile, il Neretto duro, l’Uva rara e, neanche a dirlo, l’Erbaluce.
Nella nostra cavagna abbiamo scelto due vignaioli che abbiamo avuto la fortuna di conoscere, Francesco e Massimo. La loro è una viticultura di studio e osservazione, volta a una riqualificazione del passato. La loro piccola azienda, il Garage dell’Uva, decidono infatti di lavorare sui vecchi filari già esistenti e per lo più abbandonati e di integrarli con nuovi impianti.
L’intervento sul territorio ed il terreno è minimo: i filari rimangono inerbiti e la concimazione è ridotta agli sfalci d’erba e ai sarmenti trinciati. Stesso principio viene applicato nelle pratiche di cantina: per le fermentazioni vengono usati i lieviti presenti sui grappoli e la solforosa è utilizzata in minime quantità.
I vini che vi proponiamo raccontano molto bene il lavoro che hanno portato avanti in questi anni: un’ Erbaluce vinificata con macerazione sulle bucce (durata di due settimane): dorata, ricca di profumi e freschezza al palato.
Proseguiamo con il loro rosato ottenuto da un misto di tutte quelle che sono le viti presenti nei loro terreni: Neretta Cuneese, Neretto gentile, Uva rara. L’unione di queste gemme quasi perdute creano un rosato dal colore intenso e dalla beva irresistibile.
Come si dice da queste parti, “El vin pì bon è col del plandrùn”: il buon vino si fa con calma, rispettando i tempi della Natura.